PUBBLICAZIONI A PAGAMENTO? NO GRAZIE
di Daniele Campanari
Fare lo scrittore non è mai stato semplice e probabilmente non
lo sarà mai.
Lo scrittore (o aspirante tale) è colui che necessita di
esprimere la propria emozione, riflessione, personalità attraverso l’utilizzo
della parola scritta.
Negli ultimi anni si sono avvicendati molti concorsi
letterari in tutta Italia che danno la possibilità soprattutto agli scrittori
esordienti di proporre le proprie opere sperando in una pubblicazione più o
meno vicina. Spesso questi concorsi letterari chiedono un indennizzo giustificando
tale richiesta per delle spese da sostenere. Qui arriviamo al punto: è giusto pagare per sperare di
vedere il proprio manoscritto tra gli scaffali delle librerie?
Prima di parlare di questo, bisogna fare una premessa: in
Italia la pubblicazione a pagamento non è un illecito. Ciò non significa che
sia il metodo più semplice per raggiungere gli obiettivi prefissati nel momento
in cui si pone la parola fine al proprio libro ma, visto l’andamento delle
cose, è forse la via più rapida quanto poco produttiva e meritevole.In questi giorni si è mosso un caso che è finito rapidamente sotto le luci dei riflettori. I blogger di “Scrittori in causa” (movimento contro la pubblicazione a pagamento) hanno contestato aspramente la scelta dei dirigenti del “festival mondiale dell’inedito” di Firenze di far pagare ad ogni partecipante all’iniziativa una cifra che va dai 130 ai 600 euro per far concorrere il proprio romanzo.
A tal proposito, una delegazione di 50 scrittori ha presentato una lettera aperta con la speranza che chi di dovere si metta una mano sul cuore e l’altra sulla coscienza per evitare il pagamento di tali cifre.
Fortunatamente una risposta c’è stata: infatti sul sito web del concorso compare la frase “Stiamo apportando modifiche ai contenuti, presto torneremo on-line.”
Che sia un primo passo per il cambiamento?
Tutti noi lo speriamo. Nel frattempo si continua a scrivere
e a sperare di trovare, un giorno o l’altro, il proprio romanzo posto tra
quelli di Tabucchi e Pessoa.
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